disagi

Disagi trattati

Caratterizzata da profonde trasformazioni dell’identità, del corpo, della sessualità e delle relazioni amicali, l’adolescenza è anche il periodo in cui si è maggiormente vulnerabili all’influenza del contesto sociale e del gruppo dei pari  e si è alla ricerca di nuovi punti di riferimento, al di là della famiglia e della scuola.
L’adolescente, alla ricerca di raggiungere nuovi equilibri emotivi e cognitivi, può manifestare disagio a livello scolastico, relazionale, con i coetanei, insegnanti, famigliari; problemi legati alla crescita e al cambiamento corporeo, sessuale e cognitivo; problemi emotivi (come ad. es. l’alessitimia ovvero la difficoltà ad esprimere le proprie emozioni), comportamentali, insicurezza e scarsa autostima.
Tra le modalità agite dagli adolescenti che non tutelano la propria salute si possono verificare il consumo, uso problematico o dipendenza da sostanze stupefacenti e dall’alcol.
Oggi sono in costante aumento, anche se in maniera “invisibile” tra gli adolescenti le cosiddette new addiction o dipendenze comportamentali come: la dipendenza dal cibo e dall’esercizio fisico (manifestandosi sotto forma di disturbi del comportamento alimentare: anoressia, bulimia, alimentazione incontrollata); la dipendenza dalle nuove tecnologie, come telefonini, smartphone, tablet, pc; da internet (Internet Addiction Disorder) come la Cyber Relational Addiction (dipendenza da relazioni amorose e/o amicali instaurate sul web tramite le chat, messanger, i socialnetwork come facebook, twitter, ask); la computer addiction (il coinvolgimento eccessivo in giochi virtuali e giochi di ruolo interattivi in rete). Tra i fenomeni connessi all’uso di internet diffusi tra gli adolescenti si hanno il cyberbullismo e il sexting (diffusione di immagini a sfondo sessuale che distrugge la reputazione di qualcuno) e la pornografia online.
Nel periodo adolescenziale si possono manifestare anche forme cruente di manipolazione e modificazione corporea. Tra le prime si hanno il cutting (tagliarsi la pelle e farsi delle scritte con lamette o qualsiasi altro oggetto contundente), il burning (bruciarsi la pelle) e la scarificazione (taglio superficiale dell’epidermide fatto a livello dei polsi, sulle braccia, sulle cosce o sulla pancia che può provocare sanguinamento e lasciare un segno indelebile sotto forma di cicatrici permanenti).
Le body modification (modificazioni volontarie di parti del proprio corpo) sono: il branding (marchiare a fuoco la pelle con un laser o con un ferro rovente), il microdermal (inserimento, sotto la pelle, di innesti di silicone o di altri oggetti con disegni o forme particolari o un implant di titanio).
Tuttavia nell’adolescenza è importante distinguere le modalità di attacco al corpo adolescencelimited, da altre più patologiche e più gravi a livello prognostico, caratterizzate dalla volontà di farsi intenzionalmente del male come il NAS, Sindrome da Autolesionismo Ripetitivo o intenzionale, che è una patologia che presenta: pensieri ricorrenti di danneggiare il proprio corpo; incapacità di resistere agli impulsi di danneggiarlo, da cui deriva la distruzione o l’alterazione del tessuto corporeo; crescente senso di tensione prima di mettere in atto condotte autolesionistiche e la sensazione di gratificazione e di benessere successiva all’atto. 
L’intervento di aiuto in adolescenza ha dunque l’obbiettivo di far si che le criticità e/o le condotte occasionali non si trasformino in tratti stabili della personalità.

Il termine genitorialità non si configura come semplice ruolo, bensì come una ‘funzione‘ che non coincide necessariamente con la maternità e la paternità biologiche, ma che si estrinseca nella capacità di prendersi cura e che incorpora in sé, sia aspetti individuali relativi all’idea di come dev’essere un genitore, sia aspetti di coppia genitoriale, ossia delle modalità relazionali e educative che gli adulti condividono nell’assolvere questo compito.
Spesso la genitorialità è sottesa sia dalla speranza di essere un “genitore sufficientemente buono”, sia dal dubbio sulla capacità di essere in grado di accudire e crescere il proprio figlio/a. Questo senso di inadeguatezza, accompagnato talvolta dai continui scontri con i propri figli o dalla difficoltà a gestirli nel quotidiano, dato anche il contesto sociale caratterizzato da cambiamenti rapidi come ad esempio la diffusione dei nuovi media e l’indebolimento della scuola come agenzia educativa, possono generare sentimenti e vissuti emotivi dolorosi e faticosi da gestire, con anche il rischio che nella coppia possa incrinarsi l’equilibrio relazionale. Altro aspetto che può risultare necessario è la rivisitazione del proprio stile educativo, poiché, nel ciclo vitale di una famiglia, possono sussistere modelli funzionali per un’età (per es. l’infanzia), ma inadeguati per un’altra (per es. l’adolescenza). 
Per questi motivi, ovvero la difficoltà intrinseca nello svolgimento della funzione genitoriale e la transizione da un un ciclo di vita all’altro, il sostegno alla genitorialità può essere richiesto in termini preventivi.
Altri casi in cui è indicata la richiesta di supporto sono quando si verificano difficoltà relazionali e/o situazioni di alta conflittualità connesse a criticità dei figli relative alla crescita, quando il figlio/a si trova in condizioni di forte malessere e disagio psicologico (uso problematico o abuso di sostanze stupefacenti e alcol, alessitimia ecc) e/o fisico (malattie organiche), nella depressione post-partum, nella nascita di un figlio con o senza disabilità, in caso di problematiche legate all’adozione del figlio/a, nei casi di difficoltà d’integrazione sociale connessi all’omogenitorialità o in fasi critiche come la separazione tra i due coniugi. 

Lo stress viene definito come lo stato di tensione dell’organismo, la risposta a livello psicologico e somatico in cui vengono attivate difese per far fronte ad una situazione di minaccia causata da stimoli (biologici, emotivi, sociali o ambientali) nocivi, sia di origine esterna che interna che agiscono a livello psicosociale, intrapsichico e fisico. Lo stress viene definito: acuto, quando si riferisce a situazioni di carattere intenso e transitorio (life events); cronico, nel caso in cui la condizione di protragga nel tempo logorando gradualmente le capacità di adattamento e resistenza dell’organismo. Uno stress intenso e prolungato può indurre una patologia somatica.
Selye ipotizzò delle reazioni difensive aspecifiche dell’organismo come conseguenza del contatto con una varietà di stimoli nocivi, che denominò sindrome generale di adattamento (gas). La GAS è caratterizzata da 3 stadi:
1. fase di allarme: si producono delle alterazioni di tipo biologico e ormonale;
2. fase di resistenza: aumento della resistenza verso lo stimolo nocivo con una riduzione delle difese verso altri stimoli;

3. fase di esaurimento: crollo delle difese e scomparsa dell’effetto di adattamento.
Se questo processo si prolunga, si producono danni organici irreversibili accompagnati da gravi scompensi metabolici fino al determinarsi di una malattia da adattamento (patologie renali, riduzione della pressione ematica e della temperatura corporea, ulcera o artrite).
Numerosi studi hanno evidenziato che il livello di stress familiare è un fattore di rischio nei confronti di gravi malattie mentali quali schizofrenia, depressione e disturbi bipolari.
Gli eventi stressanti, sollecitando l’insorgenza di emozioni, comportano risposte psicologiche e biologiche personalizzate, per cui certe situazioni, assumendo un significato diverso da persona a persona, possono comportare conseguenze solo per alcuni individui. Nello stress psicologico, la reazione individuale dipende dal significato che si attribuisce all’avvenimento; tuttavia vi sono eventi che possono essere considerati impegnativi per la maggior parte degli esseri umani.
Gli eventi stressanti ovvero quegli eventi e/o cambiamenti che possono capitare a tutti nel corso della vita e possono generare stress sono: morte di una persona cara o di un animale da compagnia, malattia personale o di una persona cara, matrimonio, separazione, divorzio, gravidanza, nascita di un nuovo membro famigliare, uscita di un figlio da casa, contrasti insoliti con il partner, pensionamento, menopausa, trasloco, cambio di residenza, inizio o fine della scuola, perdita del lavoro, lavoro intenso, burn out, cambio della mansione lavorativa, problemi con un superiore sul lavoro, cambiamento degli orari di lavoro, mutamento della situazione economica, rifiuto di un prestito, problemi legali, cambiamento delle condizioni sociali, cambiamento delle abitudini personale (dieta, sport, cattive abitudini), cambiamento degli hobby, cambiamento di fede religiosa, vacanza, grandi feste (Natale, Pasqua), variazione delle abitudini alimentari.

Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è un disturbo d’ansia che si manifesta in seguito all’aver vissuto o assistito a un evento traumatico estremo (incidente, malattia grave propria o di una persona cara, morte violenta o accidentale, violenza fisica o sessuale, disastri, guerre, rapimenti, torture), che ha implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
Le reazioni della persona comprendono paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore, attenuazione della reattività generale o ipervigilanza e esagerate risposte di allarme, difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, irritabilità o scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi.
L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente con: ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni, incubi e sogni spiacevoli; agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi di flashback); disagio psicologico intenso di fronte a stimoli che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico; sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma o attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma; incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma; riduzione notevole dell’interesse o della partecipazione ad attività significative; sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri; affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore); diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli o una normale durata della vita).
Il PTDS può essere acuto, se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi, cronico se la durata dei sintomi è 3 mesi o più, oppure ad esordio ritardato se i sintomi si manifestano almeno 6 mesi dopo l’evento stressante.
Il Disturbo Post Traumatico da Stress, se non viene adeguatamente riconosciuto e trattato, può creare seri disturbi d’ansia e di depressione nella persona, cronicizzando e aumentando la sofferenza psicologica.

L’ansia adattiva o fisiologica permette alla persona di riconoscere i pericoli e di affrontare situazioni critiche attivando le risorse più adeguate per farvi fronte (ad. es. sostenere un esame) e quindi aiuta a migliorare le prestazioni. L‘ansia patologica è invece una reazione eccessiva di fronte a stimoli minacciosi che interferisce negativamente con le prestazioni psico-intellettive, impedendo di concentrare l’attenzione sui problemi specifici da affrontare e limitando la possibilità di svolgere le attività abituali.
Il disturbo d’ansia generalizzata si connota per la presenza di un’ansia persistente, di una preoccupazione cronica e incontrollabile, di agitazione e irrequietezza rispetto a qualsiasi circostanza o attività come ad esempio il terrore costante che possa accadere un incidente o disgrazie (anche la morte) a persone care. Le manifestazioni possono essere generate o aggravate da eventi stressanti o da un ambiente complessivamente sfavorevole.
Il disturbo può accompagnarsi a irritabilità, scoppi d’ira, insonnia e distraibilità, dovuti allo stato di continua allerta che vive la persona. Di frequente si manifestano sintomi somatici come sudorazione, vampate di rossore, batticuore, nausea, diarrea, sensazione di freddo, mani appiccicose, bocca secca, nodo alla gola, respiro poco profondo, pollachiuria (aumento della frequenza delle urine), aumento del battito cardiaco e della frequenza respiratoria. Talvolta si hanno tensioni e dolore alla muscolatura, in particolare nella nuca e sulle spalle; tic alle palpebre e in altre parti del corpo; tremori; affaticabilità e difficoltà a rilassarsi.

L’attacco di Panico, che rientra nei disturbi d’ansia, si caratterizza per l’insorgenza improvvisa di terrore o timore per la propria incolumità accompagnati spesso da una sensazione di catastrofe imminente, che vengono scatenate da eventi e circostanze percepite come assolutamente innocue dalla maggioranza delle persone.
Si può parlare di attacco di panico quando insorgono in modo spontaneo, ingiustificato e improvviso almeno quattro dei seguenti sintomi: tachicardia e/o palpitazioni; senso di soffocamento (asfissia) e difficoltà respiratorie (dispnea); nausea, dolori addominali o dolore al centro del torace; sudorazione/vampate di calore o, al contrario, brividi/tremori; vertigini e perdita dell’equilibrio; formicoli e/o alterazioni della sensibilità in specifiche parti del corpo; perdita del senso di realtà (depersonalizzazione) o sensazione di “distacco da sé stessi e dal proprio corpo” (derealizzazione); sensazione di morte imminente; paura di perdere il controllo, di impazzire o di morire.
Gli attacchi di panico possono essere provocati o associati a situazioni specifiche (ad. es guidare l’auto, stare sui mezzi pubblici o camminare per strada) o possono essere inaspettati e quindi insorgere improvvisamente in circostanze abituali come ad esempio durante il sonno o quando si guarda la televisione. Possono verificarsi di frequente, una volta alla settimana o persino più spesso; in genere durano qualche minuto.
Gli attacchi di panico sono spesso associati all’agorafobia, che è l’ansia o l’evitamento di luoghi o situazioni dalle quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nelle quali potrebbe non essere disponibile aiuto. Chi soffre di agorafobia può avere paura di andare per negozi a fare compere, di ritrovarsi in mezzo alla folla, di viaggiare, di allontanarsi da casa o anche evitare completamente di farlo. In questi casi si parla di disturbo di panico con agorafobia. L’agorafobia, se non trattata, può avere esiti fortemente invalidanti; l’evitamento delle situazioni che causano disagio impediscono lo svolgimento di normali attività quotidiane come guidare, andare a fare la spesa, recarsi a scuola o al lavoro, salire su un treno o su un aereo, fare la fila in banca, andare al cinema o a teatro ecc.
La Fobia Specifica è caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa dal venire in contatto con un oggetto o a una situazione temuti, che spesso determina comportamenti di evitamento.

Il disturbo ossessivo-compulsivo è un disturbo d’ansia in cui la mente è invasa da ossessioni, ovvero da pensieri, impulsi o immagini persistenti e incontrollabili (la persona riconosce che sono un prodotto della propria mente e non imposte dall’esterno) o in cui la persona è spinta inevitabilmente a ripetere continuamente certi atti (compulsioni).
Le ossessioni possono riguardare le seguenti paure: di contaminazione che esprime impulsi sessuali o aggressivi; di perdere il controllo; di malattie o contagi; relative all’identità personale (orientamento sessuale, paura di essere dei pervertiti) o a dubbi, indecisioni e procrastinazione delle attività da svolgere.
Le compulsioni più comuni riguardano: la pulizia e l’ordine; l’evitamento di determinati oggetti come ad. esempio le cose rosse; pratiche ripetitive e protettive a cui viene attribuito un valore magico come ad esempio contare, ripetere numeri particolari, toccare un talismano o una determinata parte del corpo; la verifica continua rispetto all’aver eseguito un’azione puntualmente già compiuta (per es. controllare di aver spento luce e gas, o di aver chiuso i rubinetti, di avere serrato bene le finestre e di aver chiuso a chiave la porta).
La frequenza con cui un’azione compulsiva viene ripetuta può essere elevatissima (più di 1 ora al giorno o anche parte della giornata o l’intera giornata) interferendo significativamente con le normali abitudini della vita quotidiana, il funzionamento lavorativo (o scolastico), o con le attività o relazioni sociali. Ne consegue un disagio psicologico notevole che si ripercuote negativamente anche sulle persone che vivono vicino alla persona (familiari, figli, amici stretti).

L’accaparramento compulsivo o HOARDING DISPOSOFOBIA (paura di mettere in ordine) è caratterizzato dal bisogno ossessivo di conservare e accumulare oggetti e beni, acquistati o raccolti, anche privi di valore e di utilità, accompagnato dall’incapacità di eliminarli dai propri spazi vitali (casa, auto, ufficio, ecc…) rendendo impossibile lo svolgimento delle normali attività quotidiane (cucinare, dormire e lavarsi).
L’accaparramento compulsivo può provocare danni secondari legati alla possibilità di insorgenza di malattie (per via della scarsa igiene), incendi, infestazioni, lesioni (fratture, ferite, slogature) provocate dalla presenza di oggetti che impediscono i normali movimenti. Inoltre causa problemi di tipo finanziario e compromette il funzionamento lavorativo, le relazioni famigliari e sociali.
L’animal hoarding (o accaparramento compulsivo di animali) consiste nell’accogliere un enorme numero di animali in casa (generalmente cani e gatti) senza prendersi cura di loro, compromettendo sia la salute delle persone che degli animali coinvolti.

Il Disturbo d’Ansia da malattia (ipocondria), disturbo psicologico collegato alla paura di avere una grave malattia non riscontrata a livello organico, si caratterizza per l’attenzione eccessiva da parte della persona al funzionamento del proprio corpo ovvero alle modificazioni fisiologiche e alle sensazioni fisiche di disagio come giramenti di testa, affaticamento, o dolori localizzati, in relazione alle quali vive in una costante condizione di allarme.
I sintomi sono i seguenti: descrizione di sintomi fisici vaghi ma talvolta anche estremamente specifici; continua preoccupazione relativa al proprio corpo; convinzione della presenza di una malattia; rifiuto dei tentativi di rassicurazione da parte dei medici e rapporto conflittuale con i medici e il sistema sanitario; ricorso frequente al pronto soccorso e frequente sottoposizione a esami medici.
Tale disturbo sottende una richiesta di aiuto e di cura più a livello emotivo e relazionale che non fisico derivante probabilmente da vissuti dolorosi che la persona non riesce ad esprimere ed affrontare in maniera diversa e può mascherare una forma depressiva.
Chi ne è affetto vede compromessa la propria vita a livello sociale, relazionale e lavorativo.

La depressione (disturbo depressivo maggiore), che rientra nella categoria dei disturbi dell’umore ed è una vera e propria patologia, va distinta dal sentimento di tristezza che proviamo normalmente in vari momenti della vita (non significa semplicemente “essere giù di corda” ogni tanto), ma trovarsi in una condizione costante di abbattimento, rispetto a cui si è incapaci di reagire. Sul lungo periodo intacca il rendimento scolastico e lavorativo, compromettere le relazioni sociali e la cura di sé con trascuratezza del proprio aspetto e il dormire e l’alimentarsi in modo irregolare.
La diagnosi di depressione viene formulata se sono presenti per un periodo di almeno due settimane alcuni dei seguenti sintomi; a livello cognitivo difficoltà nel prendere decisioni e nel risolvere i problemi, difficoltà di concentrazione, ruminazione mentale (restare a pensare al proprio malessere e alle possibili ragioni), autocriticismo e autosvalutazione, pensiero catastrofico e/o pessimista e pensieri di morte; a livello emotivo tristezza, forte senso di abbattimento, disperazione (perdita di speranza), angoscia, senso di impotenza e senso di colpa per la maggior parte della giornata; senso di vuoto e mancanza di sentimenti; calo d’interesse e di piacere rispetto alle attività solitamente svolte con interesse; a livello fisico ridotta energia con senso di grande stanchezza; insonnia, presenza di agitazione o rallentamento; riduzione del desiderio sessuale, aumento o riduzione dell’appetito con variazione significativa del peso corporeo; a livello comportamentale nervosismo, agitazione motoria, evitamento delle persone e isolamento sociale, frequenti lamentele, riduzione dell’attività sessuale e tentativi di suicidio.

La depressione post-­partum è un disturbo dell’umore che può insorgere dalla quarta settimana dopo il parto o anche dopo 12 mesi. Il disturbo crea l’incapacità di provare emozioni positive nei confronti del proprio figlio/a che viene vissuto come se fosse un peso. A ciò ne conseguono sentimenti di vergogna e di colpa e la convinzione di essere una cattiva madre e di non essere in grado di prendersi cura del piccolo/a.
I sintomi, gli stessi della disturbo depressivo maggiore ma in cui l’evento scatenante è la nascita del bambino/a, sono: tristezza costante, disperazione, senso di colpa e d’inutilità, perdita di interesse e di piacere nello svolgimento delle attività quotidiane, affaticabilità; sensazione di agitazione e ansia o rallentamento dei movimenti e dei riflessi, irritabilità o frustrazione, insonnia, disturbi dell’appettito, difficoltà di concentrazione, calo del desiderio sessuale; problemi fisici (dolore articolare, mal di testa, crampi addominali, disturbi digestivi, vertigini ecc) privi di cause organiche. Nei casi più gravi possono riscontrarsi pensieri suicidari o tentativi di suicidio. I sintomi sopracitati devono essere di intensità tale da interferire con le attività quotidiane e non essere dovuti ad eventi esterni come ad esempio un lutto o l’assunzione di droghe o farmaci o patologie specifiche.
Le cause possono essere dovute allo sconvolgimento ormonale, ad aspettative troppo elevate rispetto allo svolgimento del ruolo di madre, ai cambiamenti nel ritmo e nello stile di vita (ad. esempio riduzione del sonno e isolamento sociale).
La depressione post-partum differisce dal Baby Blues o Maternity blues, che si manifesta subito dopo il parto ed è della durata di qualche settimana (altrimenti si parla di depressione post-partum), attraverso la tendenza al pianto improvviso, accompagnato da stanchezza, timori per il neonato, sensazione di non essere all’altezza nel ruolo di madre. Le cause sembrano essere dovute allo sconvolgimento ormonale e alla percezione di assunzione di responsabilità nei confronti del neonato.

Il disturbo bipolare (o sindrome maniaco-­depressiva) è un disturbo dell’umore caratterizzato dall’alternanza di episodi maniacaliepisodi depressivi. L’umore della persona affetta da questo tipo di disturbo oscilla da uno stato di umore eccessivamente “elevato” e irritabile, a uno di profonda depressione e senso di inutilità. Queste oscillazioni d’umore si susseguono nel tempo, alternate a momenti di calma.
Durante gli episodi maniacali le persone possono manifestare i seguenti comportamenti: aumento dell’autostima, euforia, irritabilità, agitazione psico­motoria, ridotto bisogno di sonno, loquacità eccessiva, volubilità nel cambiare opinione, facile distraibilità, aumento delle attività realizzate, agitazione mentale o fisica, aumentato coinvolgimento in attività che possono avere conseguenze pericolose o dannose (uso di droghe, alcol, spendere molto denaro o intraprendere attività sessuali inusuali per la persona o non protette).
Durante gli episodi depressivi le persone possono manifestare: umore depresso per la maggior parte del giorno, diminuzione notevole di interesse per le attività, perdita di peso oppure aumento di peso in breve tempo, insonnia o ipersonnia, affaticabilità e stanchezza, sentimenti di colpa e autosvalutazione.
Vi sono due tipologie di Disturbo Bipolare: il tipo I e il tipo II; in quest’ultimo le fasi maniacali vengono definite ipomaniacali e i sintomi sono più sfumati. E’ necessaria un’attenta diagnosi medica per stabilire la tipologia e il livello di gravità del disturbo. Le conseguenze del Disturbo Bipolare possono essere gravi e causare la separazione coniugale, violenza domestica, perdita del lavoro, comportamenti a rischio, abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti.

La Dipendenza da Sostanze stupefacenti è una modalità patologica di abuso di sostanze stupefacenti (marijuana, cocaina, eroina, crack, anfetamine, ecstasy, ketamina, speed ecc) che provoca gravi danni sulla salute fisica e mentale e che compromette fortemente la vita sociale e lavorativa della persona fino ad arrivare alla perdita del lavoro e a seri problemi economici.
La Dipendenza da Sostanze segue tre fasi distinte: la tolleranza ovvero il bisogno di dosi sempre più elevate della sostanza per raggiungere l’effetto desiderato; l’astinenza ovvero sintomi come tremori, nausea, ipersudorazione, agitazione psicomotoria, allucinazioni, iperattività del sistema nervoso autonomo, ansia, per ridurre o eliminare i quali viene assunta nuovamente la sostanza; craving o uso compulsivo ovvero il bisogno irrefrenabile di assumere la sostanza; una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsela o a riprendersi dai suoi effetti. Un volta innestato il meccanismo della dipendenza, la persona fa uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema grave, di natura fisica o psicologica, causato o aggravato dalla sostanza stessa.
Vi sono inoltre tre aspetti strettamente psicologici collegati all’abuso di sostanze: ossessività ovvero i pensieri della persona ruotano attorno alla dipendenza e provocano tensione ed eccitazione inappropriate e causano ansia o disagio notevoli; impulsività vale a dire irrequietezza, ansia, aggressività, irritabilità o agitazione che la persona prova quando non è possibile utilizzare la sostanza e l’incapacità di resistere agli impulsi a mettere in atto il comportamento di dipendenza; compulsività comportamenti di consumo ripetitivi che la persona non riesce a controllare, anche contro la sua stessa volontà, nonostante le possibili conseguenze negative.
Dal punto di vista fisico gli effetti delle droghe sono: danni al sistema nervoso centrale, convulsioni, danni irreversibili alla memoria, infertilità, impotenza, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, lesioni polmonari, lacerazioni epiteliali e venose, overdose e talvolta morte.
La dipendenza da sostanze può configurarsi come Poli­-dipendenza ovvero essere caratterizzata dalla presenza della dipendenza da più sostanze e anche la Cross-­dipendenza ovvero il passaggio da un dipendenza da una sostanza ad un’altra (ad. es dall’eroina all’alcol).
Le conseguenze sulla salute mentale possono essere: ansia, depressione, schizofrenia, apatia, paranoia, disturbi bipolari e della personalità. Il consumo e la Dipendenza da Sostanze Stupefacenti possono portare la persona a comportamenti criminali per poter procurarsi il denaro e la sostanza.

L’Alcolismo è una grave forma di dipendenza psicologica e fisica, derivata dall’assunzione eccessiva ed incontrollata di bevande alcoliche.
L’assunzione di alcol, dopo uno stato iniziale di eccitazione, provoca una seria diminuzione dell’attenzione, rallenta la percezione e le capacità di pensiero. Fisicamente provoca nausea, capogiri, vomito, difficoltà a parlare. Nel caso in cui la quantità di alcol ingerita sia così eccessiva da non poter essere assorbita dall’organismo, causa coma etilico e in alcuni casi, morte.
La dipendenza da Alcol è progressiva come per le sostanze stupefacenti; dalla fase di Tolleranza in cui la persona ha bisogno di quantità sempre maggiori di Alcol per raggiungere i medesimi effetti euforici, si passa all’Astinenza nel caso in cui l’Alcol non sia immediatamente disponibile, che può provocare una serie di sintomi (iperattivazione del sistema nervoso autonomo, elevata pressione sanguigna, frequenza respiratoria accelerata, eccessiva sudorazione, agitazione, tachicardia, palpitazioni, insonnia, febbre, tremori, nausea, vomito, irritabilità, ansia, allucinazioni tattili o visive, pensieri paranoici, disorientamento spazio-­temporale e nei casi più gravi delirium tremens) per ridurre o eliminare i quali la persona assume nuovamente alcol. Segue il craving ovvero il desiderio, i pensieri fissi e la ricerca e assunzione compulsiva della sostanza alcolica.
I danni arrecati dall’abuso di alcol sono gravi e complessi: intossicazione e deprivazione nutritiva dovuta alla riduzione dell’assorbimento degli alimenti, cirrosi epatica e malattie cardiovascolari, epilessia, pancreatite, disfunzioni sessuali, disturbi del sonno e disturbi e dell’alimentazione; problemi di equilibrio e di deambulazione (atassia), polineuropatie (disturbi a carico dei nervi); ansia, psicosi, depressione, delirio, aggressività, comportamenti distruttivi, disturbo bipolare, disturbo borderline.
L’abuso di Alcol è correlato ad un elevato rischio di commettere reati, dovuti al furto di somme di denaro, a comportamenti dannosi e violenti; è tra le prime cause di incidenti stradali ed è associato all’abuso di altre sostanze stupefacenti.

La Dipendenza da Internet o Internet Addiction Disorder (I.A.D.) è un disturbo patologico, causato dall’abuso nell’utilizzo di Internet. Vi sono tre tappe principali nello sviluppo dell’I.A.D.
Tolleranza: attenzione continua e ossessiva verso gli strumenti tecnologici e la navigazione, controllo continuo della posta elettronica, permanenza prolungata nei social network o nelle chat.
Astinenza: nascono sensazioni di malessere, disagio, agitazione quando si è scollegati; si rinuncia al sonno e si utilizza la rete per scopi personali anche durante l’attività lavorativa; si verifica la perdita del senso di confine tra il Sé reale e il Sé virtuale, sintomo che si accentua nei bambini e negli adolescenti.
Craving o tossicomania: bisogno compulsivo e irrefrenabile di connettersi che quando non viene soddisfatto causa intensa sofferenza psichica e fisica, con fissazione del pensiero, malessere, rabbia, tensione, irritabilità, insonnia, ansia e nei casi più gravi sensazioni di de-realizzazione; si arriva a percepire il mondo reale come un ostacolo all’esercizio della propria illusoria onnipotenza virtuale.
Le dipendenze da internet sono: Cybersexual Addiction ­- uso compulsivo dei siti dedicati alla pornografia; Cyber Relational Addiction  dipendenza da relazioni amorose e/o amicali instaurate su internet tramite le chatnewsgroup, messanger; Information Overload­ – ricerca compulsiva di informazioni tramite il web; Computer Addiction -­ coinvolgimento eccessivo in giochi virtuali (MUD), giochi di ruolo interattivi in rete; lo Shopping online (net­-compulsion) ­ partecipazione ad aste on-line ed a commercio in rete; il gioco d’azzardo patologico on­line (casinò virtuali); il tecnostress derivante dall’incapacità di gestire le tecnologie informatiche per il loro uso prolungato nel tempo o malfunzionamento o dell’esigenza di compiere più operazioni contemporaneamente (multitasking).
I principali sintomi che caratterizzano l’I.A.D. possono essere riscontrati in tutte le Dipendenze da Internet e sono: bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore navigando in rete per sentirsi soddisfatti; accedere alla rete per periodi più lunghi di quelli pianificati; incapacità di percepire e valutare i rischi derivata da un uso incontrollato di internet; impossibilità di interrompere volontariamente o controllare l’uso di internet, anche sul lavoro; agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-­line dopo la sospensione o la diminuzione dell’uso della rete, sintomi tipici da astinenza; mentire a familiari o terapeuti riguardo l’uso di internet continuare a utilizzare internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete.
A livello fisico si possono manifestare emicrania, stress oculare, ipersudorazione, tachicardia, tensioni, crampi e/o dolori muscolari, a causa delle numerose ore passate davanti al computer, forte stanchezza; associazione ad altre tipologie di dipendenza connotate dall’utilizzo disfunzionale del web.
Esistono, inoltre, nelle dipendenze legate all’uso di internet, due fasi: tossicofilica con attenzione ossessiva per la mail box, pensieri ed emozioni pervasivi su temi inerenti la rete, intensa partecipazione a chat, collegamenti notturni e perdita di sonno; tossicomania in cui i collegamenti alla rete sono così prolungati da compromettere la vita sociale.

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