X

La nostalgia del padre: la funzione paterna nello sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Articolo.


Oggi molti giovani, anche inconsapevolmente, hanno nostalgia del padre. Quello vero. Che ti guarda, magari anche da lontano, ma che ti vede, ti sorride, ogni tanto ti sgrida. Un padre che non fissa continuamente l’orologio, ma che guarda il figlio negli occhi per infondergli coraggio” (C. Risé, Il padre: l’assente inaccettabile).

Le trasformazioni che stanno attraversando l’epoca in cui viviamo – la crisi dell’autorità, la caduta delle ideologie ed il relativismo culturale- hanno generato un  contesto sociale dominato dall’anomia e dal consumismo ossessivo in cui la legge del padre viene sostituita da quella dell’oggetto gadget. All’interno delle famiglie si assiste alla perdita di ruolo delle figure genitoriali imbrigliate tra un modello educativo tradizionale e un modello educativo, quello contemporaneo, orizzontale e amicale. In particolare si parla di eclissi del padre cioè del venir meno del tratto chiave della modernità, ovvero un eccesso di ordine e di disciplina, considerate, in passato, come fondanti l’educazione delle nuove generazioni (Baumann 2002).
L’obbiettivo di questo articolo è di evidenziare l’importanza, nell’epoca attuale postmoderna, nello sviluppo del bambino/a, del padre inteso come caregiver ovvero come colui che ha la capacità di prendersi cura del piccolo/a, di percepire e rispondere ai suoi bisogni fisici e emotivi e di promuovere il suo sviluppo mentale (Schaffer ed Emerson, 1964). L’esercizio della funzione normativa, che attualmente risulta eccessivamente indebolita per i motivi culturali sopra descritti, rimane fondamentale per favorire nel bambino/a l’interiorizzazione delle regole e quindi della capacità di gestire il proprio comportamento e di autoregolare le proprie emozioni. Il no, ovvero  la norma, è fondamentale per far si che il bambino/a acquisisca il senso del limite e sia in grado di procastinare la soddisfazione dei propri bisogni e desideri e quindi di “reggere” la frustrazione. Ciò si configura come fattore di protezione rispetto all’evitamento di quelle condotte impulsive che spesso sono alla base delle varie forme di dipendenza (da sostanze stupefacenti, alcol, cibo ecc).
L’importanza della funzione paterna è rinvenibile nella teoria dell’attaccamento di Bowlby elaborata negli anni ’50. Secondo quest’ultima una delle prime necessità dell’essere umano, sin dalla nascita, oltre al bisogno di essere accuditi attraverso il nutrimento, la pulizia e le cure corporee che generano senso di piacere, è il senso di sicurezza e la protezione nei confronti dei pericoli a cui è connessa l’emozione della paura.
Per poter soddisfare questo bisogno di base la nostra specie ha sviluppato il sistema comportamentale dell’attaccamento, attraverso la tendenza innata a stabilire legami significativi da parte del bambino/a con chi si prende cura di lui/lei (Baldoni 2005).
Perché si parli di relazione di attaccamento devono essere presenti almeno tre condizioni di base: la ricerca della vicinanza tra la persona attaccata e la persona che offre attaccamento; le reazioni di protesta per la separazione che si manifestano nel momento in cui si avverte la sensazione di pericolo perché la presenza della figura di attaccamento non è più garantita; la base sicura, cioè l’atmosfera relazionale di sicurezza e fiducia che si instaura tra il piccolo/a e la figura di attaccamento (Weiss 1982).
Bowlby (1988) ha spiegato come un bambino o un adolescente, per affacciarsi al mondo esterno ed esplorare in modo sereno l’ambiente, abbia bisogno di sentirsi sicuro e di poter ritornare “sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico e emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato” (Bowlby 1988, p. 10).
Attraverso il concetto di base sicura, la funzione paterna nella triade (madre, padre, bambino/a) può essere declinata, nella prima infanzia, come provvedere al sostegno economico ovvero garantire un’abitazione confortevole e sicura e ai bisogni materiali, rappresentare e difendere il nucleo famigliare nel rapporto con l’ambiente esterno. Si parla anche di funzione paterna antidepressiva nel momento della gravidanza e nei primi mesi dopo il parto per prevenire o far fronte all’eventuale insorgenza della depressione post-partum nella donna. La base sicura può essere inficiata nei casi in cui il padre, sia eccessivamente preoccupato o ansioso o troppo emotivo o depresso fino ad arrivare ad accusare sensazioni corporee e disturbi simili a quelli della donna (sindrome della couvade) (Baldoni 2005).
Nell’adolescenza la funzione paterna è quella di accompagnare il figlio nel processo di emancipazione dalla madre e di autonomizzazione nella graduale uscita da casa; di sostenere emotivamente la propria compagna e di riportarla ad una vita di coppia soddisfacente durante la separazione dal figlio/a e il cambiamento del proprio ruolo femminile di madre e di donna dovuto anche alle variazioni fisiche e ormonali (menopausa) che la rendono più esposta a problemi emotivi, tra cui, in particolare, quello della depressione (Baldoni 2005). Se ciò non avviene si sviluppa un sistema di attaccamento patologico che non favorisce nel ragazzo/a la possibilità di instaurare relazioni affettive e d’intimità sane con i/le futuri/e partner.
La valenza educativa della figura del padre è stata messa in luce, in modo particolare, a cominciare dagli anni settanta con gli studi sulla famiglia partendo dalla considerazione che il minore instaura relazioni con tutto il sistema famigliare. In particolare grazie ai nuovi approcci di tipo sistemico ed ecologico la figura del padre viene intesa come figura di attaccamento di rilievo.
Secondo Greenberg e Morris (1974), alla nascita del bambino, si osserva nel padre una sorta di imprinting visivo o di innamoramento immediato che favorirebbe, sin dal primo anno di vita, l’instaurarsi di una relazione di attaccamento tra i due. Stando a Parke e O’Learly (1975) se tendenzialmente i padri si prendono cura in minor misura dei bisogni del bambino/a (basso livello di esecuzione) rispetto alle madri, tuttavia, quando lo fanno sono altrettanto adeguati (alto livello di competenza) ovvero si mostrano attenti alle sue richieste espresse in termini di pianto e/o vocalizzi e riescono a sintonizzarsi nell’interazione faccia a faccia ovvero a rispecchiarne la comunicazione non verbale e verbale e a usare un linguaggio adatto all’età del bambino/a (Fonzi 2001).
Ma, allordunque, qual è la differenza tra madri e padri? Studi approfonditi, condotti con tecniche osservative e videoregistrazioni, hanno messo in evidenza che i maschi si relazionano, sia nel prendersi cura che nei momenti di gioco con i bambini, soprattutto attraverso contatti fisici e corporei molti stimolanti e caratterizzati da un ritmo piuttosto rapido che favoriscono una maggiore reattività.
L’ipotesi è anche che il tipo di interazione fisica con il padre, centrata sul “piacere del rischio”, come ad. es lanciare in aria il bambino/a o farlo roteare, possano renderlo maggiormente incuriosito alle situazioni nuove a patto che la situazione non sia avvertita come pericolosa.
In base ad alcuni studi (Yogman et al, 1976), sin già dalla quarta settimana dopo la nascita, il bambino/a è in grado di distinguere il padre dalla madre in base alla diversa qualità del tipo di contatto ricevuto e della velocità dei movimenti. Inoltre si riscontra nella relazione dei padri con le figlie un maggior contatto visivo rispetto a quello dato ai figli e una maggiore stimolazione a livello cognitivo e nell’uso non convenzionale degli oggetti nel gioco.
Le madri invece si rapportano soprattutto attraverso la comunicazione visiva e verbale (il linguaggio) e preferiscono giochi basati su una certa distanza fisica come quello del “cu-cu”. In particolare con le figlie femmine usano spesso il mimo nelle attività ludiche, maggiori contatti visuali e imitazione della comunicazione non verbale. Invece, con i figli maschi sono più direttive e controllano fisicamente il piccolo (Fonzi 2001).
Secondo De Bernart (1998) i giochi delle madri sono basati sul parlare ed hanno una valenza pedagogica, tendono a insegnare qualcosa, mentre quelli dei padri si basano sull’agire e sono competitivi. Se le madri attraverso le favole tendono sempre ad insegnare, i padri narrano con maggior creatività, senso ludico e introducono alla sessualità.
Un’altra distinzione viene introdotta da Lamb (1979) con il concetto di affiliazione. L’autore ha osservato che, quando il bambino si trova in condizione di stress, disagio e paura, attiva il comportamento di attaccamento ricercando l’adulto per mezzo del pianto e della richiesta di aiuto, rivolgendosi principalmente alla madre quando si trova in presenza di entrambi i genitori. Invece, quando il bambino è in uno stato di relativa tranquillità, in presenza dei genitori sorride, vocalizza, esplora l’ambiente, mostrando una preferenza verso il padre.
Tale comportamento, definito appunto dall’autore, affiliazione, si manifesta sin già dai primi 2 anni d’età. Inoltre quando il bambino è messo nella Strange Situation (esperimento basato sull’osservazione delle reazione del bambino/a di fronte ad un estraneo), se ha sviluppato un attaccamento sicuro verso il padre, in sua presenza mostra maggiore apertura verso l’estraneo (Smorti 2001).
A tal proposito la Dunn (1993) ritiene che la funzione paterna sia strettamente legata a favorire l’ingresso nel mondo sociale in accordo con altri studi che sostengono che l’atteggiamento paterno di stimolazione e incoraggiamento all’esplorazione assume un ruolo fondamentale nello sviluppo della competenza sociale del bambino, nello sviluppo dell‘autostima, dell’autonomia, in quello cognitivo e della creatività.
Di contro, la mancanza del padre non favorisce abilità generalmente maschili come quella matematica, quella spaziale e meccanica oltre a rendere i bambini emotivamente più ansiosi al momento della separazione connessa ad es. all’ingresso nella scuola dell’infanzia. Nei maschi sono state rilevate minori capacità di adattamento al mondo esterno a livello sociale, emozionale e cognitivo probabilmente per la mancanza di un modello di identificazione che invece le femmine continuano a trovare nella madre.

Bibliografia.

Baldoni F, “Funzione paterna e attaccamento di coppia: l’importanza di una base sicura” in Bertozzi N., Hamon C (a cura di), Padri e Paternità, Edizioni Junior, Bergamo, 2005, pp. 79-102.
Baumann Z, Modernità liquida, Laterza, 2002.
Bowlby J, Una base sicura, Raffaello Cortina, Milano,1988.
De Bernart R, Il padre nella famiglia normale, nella clinica, nella mediazione, in PSYCOMEDIA, LOGOS – Istituto per lo Sviluppo delle Risorse Umane, Genova, http://www.psychomedia.it/pm/training/seminari/debernart.htm
Dune J, Young Children’s close Relationships Beyond Attachment,SAGE Publication, 1993.
Fonzi A, Manuale di psicologia dello sviluppo, Giunti , Firenze, 2001.
Greenberg E, Morris N, “Engrossment: the Newborn Impact upon the Father” in American Journal of Orthopsychiatry
Lamb M.E, “Paternal effects and the fathers’role: A personal perspective, in American Psychologist 34, 1979, pp. 938-943.
Risé C, Il padre: l’assente inaccettabile, San Paolo Edizioni, Milano, 2003.
Schaffer H.R, Emerson P.E., “The Development of Social Attachments in Infancy”,in Monograpfhsof the Society for Research in Child Development 28, 1964, pp. 1-77.
Smorti A, “Il ruolo paterno, l’attaccamento e l’affiliazione, in Fonzi A (a cura di), Manuale di psicologia dello sviluppo
Weiss R,”Attachment in Adult life, in Parkes C.M, Stevenson Hinde J (a cura di), The place ofattachment in human behaviour, Routledge, London, 1982.